Cosa sappiamo sulle emozioni

Nel mio lavoro mi capita spesso di parlare di emozioni, un po' perchè sono una delle principali dimensioni della vita, un po' perchè sono oggetto e strumento del lavoro psicologico, un po' perchè spesso le persone le conoscono poco o credono di conoscerle o non le riconoscono affatto prima di tutto in sè stesse.

Esaminarle nella propria vita può aiutarci a sviluppare la nostra "intelligenza emotiva", la nostra capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le nostre emozioni e quelle delle persone con cui ci relazioniamo.

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Proviamo costantemente tante emozioni, che variano da quelle positive a quelle negative. Fondamentalmente cos'è un’emozione? Che differenza c'è rispetto ai sentimenti?

Emozioni e sentimenti spesso vengono confusi tra di loro. Si tratta di fenomeni vicini, ma che in realtà si differenziano sostanzialmente per intensità e durata: nello specifico le emozioni sono fenomeni psicologici più primari e di breve durata.

Nella letteratura psicologica si parla per lo più delle emozioni come un insieme di reazioni a vari livelli (neurofisiologico, espressivo-motorio, cognitivo e comportamentale) in risposta ad uno stimolo esterno.

L’emozione consiste in una serie di modificazioni che avvengono nel nostro corpo sia a livello fisiologico (alterazioni del respiro, del battito del cuore, ecc), sia di pensieri ("che paura"), sia di reazioni comportamentali, come il fuggire o gridare, sia di modifiche della mimica facciale.

L’emozione è il risultato di un processo di valutazione basato su cognizioni "calde" che sono la base per distinguere gli aspetti importanti da quelli non importanti. Le sensazioni fisiche legate all'emozione servono ad integrare tutte le componenti della risposta emotiva: motivazione, cognizione e comportamento.

Tra i tanti che hanno studiato le emozioni cercando di definirle e categorizzarle, mi riferisco al lavoro messo a punto da Paul Ekman.

Questo psicologo americano ha studiato le tribù di un remoto villaggio della Papua Nuova Guinea per verificare se fosse possibile riscontrare anche tra loro le stesse espressioni ed emozioni provate da altri popoli. Ad esempio, gli indigeni, alla vista di Ekman che mangiava del cibo a loro totalmente sconosciuto, rimasero stupiti, e fu fotografata la loro espressione di disgusto sul volto alla vista e all'odore del cibo che Ekman considerava appetitoso.

Fu proprio seguendo questa tribù che Ekman poté notare come le espressioni di base fossero universali perché riscontrabili in popolazioni diverse, anche in quelle isolate dal resto del mondo. Così decise di stilare una lista di emozioni divise in primarie e secondarie.

Le emozioni primarie sono:

  • 1. rabbia, generata dalla frustrazione che si può manifestare attraverso l’aggressività;
  • 2. paura, legata all'istinto di sopravvivenza del soggetto in una situazione pericolosa;
  • 3. tristezza, che si origina a seguito di una perdita o da uno scopo non raggiunto;
  • 4. gioia, stato d’animo positivo dovuto alla soddisfazione di tutti i propri desideri;
  • 5. sorpresa, si origina da un evento inaspettato, seguìto in senso negativo dalla paura, in senso positivo dalla gioia;
  • 6. disprezzo, sentimento e atteggiamento di totale mancanza di stima e rifiuto verso persone o cose, considerate indegne;
  • 7. disgusto, risposta di repulsione.


Queste sono emozioni sono definite primarie perchè sono innate e sono riscontrabili in qualsiasi popolazione e cultura. Le emozioni primarie dunque sono reazioni attraverso le quali ci avviciniamo ad un oggetto (felicità, rabbia, sorpresa, interesse) o ce ne allontaniamo (tristezza, paura o disgusto).

Rappresentano una primissima forma di adattamento al contesto ambientale, che condividiamo anche con animali più semplici e compaiono fin dalla nascita. Queste emozioni sono caratterizzate anche da espressioni facciali specifiche e universalmente riconoscibili.

A livello evolutivo quindi le emozioni hanno una funzione adattiva che ha permesso lo sviluppo della vita sociale, in quanto sostengono la comunicazione e l’adattamento all'ambiente.

Costituiscono quindi un sistema di segnalazione sociale che permette di gestire la relazione con gli altri. Ogni persona poi, in base ad una valutazione soggettiva, può scegliere le risposte più appropriate, in modo adattabile.

Le emozioni secondarie, invece, originano dalla combinazione delle emozioni primarie (come i colori) e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione con gli altri, hanno bisogno di più elementi esterni o pensieri eterogenei per essere attivate.

Sono emozioni secondarie per esempio:
- invidia, stato emozionale per cui un soggetto sente un forte desiderio di avere ciò che l’altro possiede;
- vergogna, reazione emotiva che si prova in conseguenza alla trasgressione di regole sociali;
- ansia, reazione emotiva dovuta al prefigurarsi di un pericolo, reale o ipotetico;
- rassegnazione, disposizione d’animo di chi accetta pazientemente una situazione negativa;
- gelosia, stato emotivo che deriva dalla paura di perdere qualcuno o qualcosa che appartiene già al soggetto;
- speranza, tendenza a ritenere che fenomeni o eventi siano indirizzabili verso esiti ritenuti migliori;
- perdono, sostituzione delle emozioni negative che seguono un’offesa percepita (es. rabbia, paura) con dei vissuti positivi (es. empatia, compassione);
- nostalgia, stato di malessere causato da un desiderio di un luogo lontano, di una cosa o di una persona assente o perduta, di una situazione finita che si vorrebbe rivivere;
- rimorso, stato di pena sperimentato da chi ritiene di aver agito in modo contrario al proprio codice morale;
- delusione, stato d’animo di tristezza provocato dalla constatazione che le aspettative coltivate non hanno riscontro nella realtà.

Le emozioni secondarie si sviluppano più tardi perché sono cognitivamente più complesse e perché dipendono molto dal contesto culturale.

Vergogna, colpa, imbarazzo o rammarico sono legate ai valori specifici di una cultura che segnala quando e come provare queste emozioni. Ne consegue che non hanno la stessa importanza in culture differenti e che la loro espressione facciale può variare.

In più le emozioni secondarie ci caratterizzano come esseri umani dotati di autocoscienza.

A partire dai 2 anni si sviluppa nel bambino una prima forma di autocoscienza e di introspezione che lo pone in grado di percepirsi come possibile oggetto delle attenzioni e dell’osservazione altrui. Quando il bambino inizia a riconoscersi allo specchio, ad usare nel linguaggio pronomi personali o a partecipare a giochi di fantasia.

È qui lo spartiacque fra emozioni primarie e secondarie: le prime sono istintive, semplici e aspecifiche; mentre le seconde sono più complesse, specifiche degli esseri umani e dipendono dalla presenza di un certo grado di introspezione e di socializzazione in base a norme e attese comportamentali che coinvolgono il concetto che una persona ha di sé.

Se osservate un neonato che per errore abbia messo in bocca una sostanza aspra, apparirà sul suo volto un’inconfondibile espressione di disgusto che potrete facilmente riconoscere in adulti e bambini in ogni cultura.

Pensate invece a un bambino di 3 anni che, scoprendo di essere osservato, arrossisce e corre a nascondersi: è la consapevolezza di essere oggetto dello sguardo altrui a generare un’emozione di vergogna.

Sono emozioni che coinvolgono quindi l’idea che ognuno ha di sé e per questo hanno legami complessi con il funzionamento globale della personalità, le relazioni sociali, l’autostima.

In questo senso le emozioni secondarie possono essere definite come emozioni veramente “umane”.

Giusto per sottolineare quanto le emozioni non siano scomode interferenze, inciampi del funzionamento mentale, ma segnali essenziali e con una funzione adattiva molto importante per l'equilibrio psichico della persona.

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